Single Blog

Diaro di un genocidio, di Atef Abu Saif

Come tutto quello che riguarda la Palestina in questo momento, fatico a scrivere. Diario di un genocidio, 60 giorni sotto le bombe a Gaza, però, è talmente importante che mi sforzo di trovare le parole.

In un mondo in cui tutto viene ingoiato nella più totale frenesia, e in cui quello che è successo ieri è già datato, un libro che racconta dei primi sessanta giorni in un’area sotto brutale e indiscriminato attacco, quando questo si protrae ormai da 344 giorni (nel momento in cui comincio a scrivere), potrebbe non invogliare alla lettura. E invece, Diario di un genocidio dello scrittore palestinese Atef Abu Saif è importante proprio per questo: perché nel descriverci l’enormità di quanto viene inflitto al popolo gazawi in quei primi sessanta giorni, ci fa sentire ancora più forte la vergogna di trovarci a quasi un anno dall’inizio del massacro, e assistere a un inasprimento dell’efferatezza con cui israele si dedica allo sterminio del popolo palestinese.

Atef non vive a Gaza. Lì ci è nato e cresciuto (nel quartiere Saftawi del campo di Jabalia, in una casetta che ora non esiste più perché è stata distrutta dalle bombe israeliane), ma attualmente vive a Ramallah, in West Bank, con moglie e figli. A Gaza, però, ha (aveva) una grande parte della famiglia, l’attaccamento che si riserva solo ai luoghi che ci hanno visto crescere, e qualche occasionale invito per via del suo lavoro di scrittore.

diario di un genocidioEd è stato proprio per partecipare al National Heritage Day, vicino a Khan Younis, che Atef si è recato a Gaza il 5 ottobre. Poi è successo quello che tutti sappiamo, e a Gaza è rimasto bloccato per tre mesi, tre mesi di disperata ricerca di sopravvivenza, di cibo, acqua, comunicazione con chi lo aspettava a casa, ma anche di un senso a tutto ciò.

Le parole di Atef sono semplici, sincere, e per questo ancora più penetranti. Nel descriverci quello che vive ogni giorno dall’inizio del massacro, alterna accadimenti piccoli e grandi (dalla gioia del riuscire a bere un caffè alla disperazione della nipote che ha perso le gambe e una mano nei bombardamenti israeliani) ai sentimenti che questi suscitano, in un altalenare di emozioni che sfianca noi che leggiamo, figuriamoci chi questi fatti li ha vissuti – e li vive tuttora.

Sì, li vive tuttora, perché nonostante le grida di aiuto – Diario di un genocidio è anche questo -, le voci che da mesi si moltiplicano, dentro la Palestina e in tanti, tantissimi paesi al mondo, nonostante i procedimenti avviati dalla Corte Internazionale di Giustizia con l’accusa di genocidio, le centinaia di filmati in tempo reale che ci mostrano cose che davvero non si possono più accettare; nonostante un numero di morti che la mente non riesce nemmeno a registrare, e la consapevolezza di centinaia di famiglie distrutte, orfani, bambini, bambine e adulti, e anziane, disabili, cani, gatti, e asini, menomati, traumatizzati, violentati; nonostante un territorio meraviglioso, ricco di sole, mare, pesci e umanità sia stato ormai reso invivibile, nonostante tutto questo, ciò che racconta Atef nel suo libro, i sistematici e continuati attacchi a una popolazione inerme e l’annientamento di un popolo innocente continuano. Continuano. Sotto gli occhi di TUTTI.

E allora è importante leggerlo. Perché credo che quello che abbiamo perso nelle nostre vite, sia la capacità di provare empatia, la voglia di immedesimarci in quello che vediamo e che, ormai lo sappiamo bene, altri esseri umani al mondo stanno vivendo. Siamo talmente bombardati di notizie a tutte le ore, che ormai un corpo maciullato o un edificio che salta in aria non ci fanno più impressione. Ma se ci fermiamo a davvero pensare cosa c’è dietro quelle immagini, se ci immedesimiamo nelle persone che stanno vivendo quei drammi, allora diventa più immediato sentire su di sé la portata della catastrofe che ci riguarda tutti, nessuno escluso. Perché questo è il mondo in cui stiamo vivendo, e ogni nostro respiro contribuisce a forgiarlo.

E allora ecco che Atef ci dà una mano, con il suo libro, a non lasciare che il meccanismo dell’empatia si spenga. E lo fa descrivendoci le relazioni che si sviluppano intorno alla tragedia: amici che scavano nelle macerie, fianco a fianco, per cercare i resti di figli, figlie, mogli, fratelli, di qualcuno amato; persone che non hanno più niente da mangiare, ma condividono l’ultimo pezzo di pane; amici che offrono un tetto, altri che abbracciano per aiutare a contenere il dolore, altri ancora che aiutano a far circolare le notizie. E’ nella descrizione di questi atti di amore che la crudeltà e l’assurdità di questo stermino risuona ancora più forte, e per questo ringrazio di cuore l’autore.

Voglio chiudere questo post con una frase che si trova verso la fine del libro, e che non riesco a togliermi dalla testa. Quanto, quanto dolore.
Dice:

Perchè sei tornato a Gaza? La mia risposta è sempre stata la stessa: “Perché a Gaza, in un vicolo del quartiere Saftawi di Jabalia, c’è una casetta che non si trova in nessun’altra parte del mondo”.
Se, nel giorno del giudizio, Dio mi chiedesse dove vorrei essere mandato, non esiterei a dire: “Lì”. Ora non c’è più quel “lì”.

 

Claudia Landini
Volterra, Italia
Settembre 2024
La foto principale è di Mohamed Ibrahim su licenza di Unsplash

Comments (0)

claudialandini.it © Copyright 2018-2021