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Come sono diventata Executive Coach

La vita gioca con noi, a volte ci riserva sorprese amare, altre è simpatica e ci pone sul cammino, inaspettatamente, delle belle opportunità. E’ quello che mi è successo quando sono diventata Executive Coach.

La scelta di diventare Coach per me – non l’ho mai nascosto – è nata in forma di ripiego. Poco dopo il mio arrivo a Gerusalemme, mi ero resa conto che continuare a lavorare come formatrice interculturale era fuori discussione. Troppa tensione, troppe questioni morali.

Non mi mancavano le cose da fare (non mi sono mai mancate). Tuttavia mi dispiace dover mettere di nuovo in stand-by la mia carriera. Avevo da poco ripreso a lavorare, il lavoro che porta i soldi, per intenderci, e non riuscivo ad accettare l’idea di dover parcheggiare di nuovo tutto.

clienti di coachingE’ così che ho pensato al coaching. Una formazione rapida (un anno in media), a distanza, che andava a completamento della mia figura di formatrice interculturale. Inoltre riflettei sul fatto che lavorare come coach mi avrebbe dato legittimità e struttura nell’aiutare le donne espatriate che già da anni gravitavano nella mia comunità internazionale, e mi interpellavano spesso e volentieri per una miriade di questioni.

Il corso che scelsi era di Life Coaching, e all’interno del programma c’erano sessioni riservate a nicchie specifiche: coach interculturale (la mia!!!), spirituale, di carriera, etc. In realtà non trovai molto utili queste sessioni dedicate. Quello che invece mi servì tantissimo fu il segnale che mi arrivò durante la pratica: su cinque donne che mi ritrovai a coacchare, cinque vollero focalizzarsi sulle loro carriere. Portatili, perché erano tutte espatriate al seguito.

Era un segno. Non solo io avevo faticato sette camicie per rimettermi in pista professionalmente dopo anni di pausa, e stavo vivendo tutta la frustrazione dell’aver dovuto abbandonare un paese dove avevo cominciato a lavorare a un buon ritmo. Ora muovevo i primi passi nel coaching con persone che volevano lavorare sulle stesse tematiche.

Fu così che la mia carriera come coach cominciò a svilupparsi nell’area che viene comunemente definita “career coaching”. Quando poi mi spostai a Jakarta, e ripresi il mio lavoro originario di formatrice interculturale, applicare le tecniche del coaching durante gli incontri con i vari manager e le loro famiglie, mi aiutava tantissimo a rendere il momento più completo, professionale e empatico.

executive coachNon ero mai entrata in così tante aziende in vita mia come a Jakarta. Ho lavorato come formatrice negli uffici della Merck, Mars, Royal Canine, Basf, GSK, Bayer, Prudential, Heineken, Coats… E non avevo idea di quanto quest’esperienza mi sarebbe stata utile qualche anno dopo, quando venni chiamata per un’intervista di lavoro.

Una di quelle cose che ti devi un po’ pizzicare per essere sicura che siano vere. Perché era un’offerta interessante, stimolante, ben pagata e con ottime prospettive di sviluppo. Unico problema (per me): mi volevano come Executive Coach.

Il solo termine Executive Coach mi faceva venire i brividi. Tutto quello che era legato al settore privato e commerciale mi aveva sempre respinto, non era cosa per me. Cresciuta nel mondo umanitario, sentivo le tematiche aziendali distanti anni luce. Unica deroga alla faccenda: lavorare con manager di azienda sul discorso interculturale, che mi appassionava sempre, comunque e a prescindere.

L’agenzia che mi offriva il contratto, per fortuna, era d’altro avviso. Sostenevano che con la mia esperienza di coaching interculturale, ero perfettamente posizionata per lavorare come Executive Coach. A loro bastava l’accreditazione PCC dell’International Coach Academy, e la mia esperienza di coach interculturale plurilingue. Io mi son detta: “proviamo!”.

emozioni del coachingEd è così che sono diventata Executive Coach. Dopo 80 sessioni a manager di tutti i livelli, generi, aziende e nazionalità, ho acquisito molta scioltezza ma soprattutto imparato tantissimo delle dinamiche in ambiti aziendali internazionali. Ho capito da subito che la mia esperienza bastava, perché le problematiche che si sviluppano in azienda hanno sempre a che fare con il tema che tratto da tempo immemorabile: la propria identità in relazione all’altro.

Io che pensavo di non avere le carte per lavorare con le aziende, che mi vergognavo quasi a pubblicare il mio profilo in un ambito dove coach in giacca e cravatta (o tailleur) trasudano sicurezza sulle questioni di dinamiche relazionali in azienda, mi ritrovo oggi ad avere quasi troppi clienti da gestire. Vengo scelta dai e dalle manager perché ho vissuto in tanti paesi e questo per loro è garanzia di solida esperienza umana. Il mio approccio interculturale durante le sessioni è fortemente apprezzato. E la capacità di cogliere le sfumature, affinata da anni di ascolto di persone di ogni tipo, e diversissime tra loro, dà sempre i suoi frutti.

Ho dovuto ricredermi. E ricredersi, a volte, è bellissimo.

 

Claudia Landini
Volterra, Italia
Ottobre 2024

 

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