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Chiamate la levatrice, Jennifer Worth

chiamate la levatrice

Chiamate la levatrice è stata una piacevolissima sorpresa.

Chiamate la levatrice di Jennifer Worth è uno di quei libri che mi è restato dentro e a cui continuo a pensare pur avendolo finito da qualche mese. Ve ne parlo in italiano perchè penso che in inglese sia stato sufficientemente recensito, e anche perchè sono sempre felice quando posso consigliare un libro inglese anche a chi l’inglese non lo legge.

Devo però ammettere che già la musicalità del titolo è compromessa nella traduzione: Call the midwife, musicale, fluido, quasi un annuncio del ritmo vivace del libro, diventa Chiamate la levatrice, un titolo goffo, che non scorre, che sa anche un po’ di meccanico. Spero tanto che la traduzione non sia di quelle che penalizzano l’opera, come purtroppo succede molto spesso, perchè questo racconto merita veramente. Tra l’altro molti l’avranno probabilmente visto nella serie TV L’amore e la vita. Io consiglio – come sempre del resto – di leggere prima il libro, in Italia edito da Sellerio.

Quello che tutti ripetono a gran voce di questo libro è che è scritto in modo molto fresco, spontaneo, accattivante, ed è vero: l’autrice è simpaticissima, e racconta con una naturalezza e una gioia che da subito ci fa amare il suo lavoro, le sue avventure, e soprattutto i personaggi dell’East End degli anni ’50, che sono poi i veri protagonisti della storia. Jennifer Worth ci parla sì del suo affascinante lavoro di levatrice e delle sfide del portarlo avanti in un quartiere così povero e degradato, e qua e là lascia cadere qualche momento legato alla sua giovinezza – la gita a Brighton, di notte, con la mitica Lady Chatterley, un vecchio taxi degli anni venti, o l’aver ospitato – di nascosto – sul tetto del convento dove studiava, due suoi amici che avevano perso l’alloggio. Ma l’humus della storia è nei personaggi che le ruotano intorno, e ai quali lei si avvicina sempre con umiltà e curiosità, per dipingerceli affettuosamente e con un tono umano privo di giudizio.

Attraverso questi personaggi, attraverso situazioni durissime, al limite dello squallido, e presentandoci una a una le suore che popolano la scuola in cui studiava, la Worth ci offre un ritratto assolutamente vivo e realista di cosa doveva essere l’East End di Londra all’epoca (nebbia compresa). Interessantissima la descrizione di Stepney, il quartiere della prostituzione all’epoca, e mitica la scena della vecchia e arcigna suora che salta su una chiatta per attraversare il Tamigi, determinata ad arrivare a tempo ad assistere una partoriente.

Un libro realmente delizioso, che si chiude con allegria mista a nostalgia per quel pezzo di mondo che si lascia. Per fortuna ci sono altri tre libri (in italiano mi pare ne abbiano tradotto solo uno, sempre a cura di Sellerio, Tra le vite di Londra) che continuano a raccontare le incredibili esperienze di questa interessantissima donna.

 

Claudia Landini
Giugno 2015

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