Come mi sento in questo genocidio dei Palestinesi
In questo post non troverete dati e date, numeri di morti e specifiche tecniche delle bombe usate per sterminare un intero popolo. Tutte queste cose sono disponibili in rete, basta cercarle. Io voglio riflettere e sfogarmi sulle conseguenze che il genocidio in atto verso il popolo palestinese ha (o quantomeno dovrebbe avere) sulle vite di chi ci assiste impotente da lontano. E’ un post personale e quello che scrivo è frutto del mio vissuto e le opinioni e sentimenti espressi qui sono esclusivamente miei.
Ricordo quella mattina perfettamente. Il 7 ottobre 2023, stavo bevendo il caffè e rispondendo a dei messaggi. Mio marito esce dalla stanza e mi dice “hai visto in Palestina?“. Non avevo visto. Poi ho visto. E da allora non sono più la stessa.
Parto da qui. Sono quasi undici mesi che assistiamo impotenti al massacro di un popolo inerme, con l’attiva complicità delle più grandi potenze mondiali e di paesi più o meno influenti, e senza che nessuno al mondo sia riuscito a trovare un modo per fermare questa folle disumanità.
Come tutti e tutte, ho passato varie fasi. Ho provato emozioni diverse. Sono stata in sospensione, a osservare gli eventi. Mi sono arrabbiata, ho pianto, ho scritto, parlato. Mi sono proprio disperata. E continuo ad esserlo. Sono disperata per i Palestinesi e per il mondo.
Ma il mondo è sempre stato un posto ingiusto, direte voi. E io non sento neanche più il bisogno di giustificarmi e spiegare. Quello a cui stiamo assistendo è inammissibile. E’ una cosa che non lascia speranza nel genere umano, nel mondo come l’abbiamo conosciuto finora.
I soprusi verso i Palestinesi non sono nuovi. Israele è stato costruito sul loro sangue. E dalla sua creazione, in modi e con ritmi diversi, i Palestinesi vivono sotto un regime che li disumanizza, li discrimina, li blocca, li uccide, li priva dei diritti elementari, mente, arresta, fomenta violenza e distrugge tutto.
Io stessa, prima di andare a vivere in Palestina, non avevo afferrato la portata della cosa. Pur essendo cosciente di quanto era successo in quella terra, e sentendomi sempre vicina ai Palestinesi, non avevo capito quanto il piano di distruggere un intero popolo per prendersi tutta la terra sia raffinato, strutturato, e perseguito con metodi di una violenza a una crudeltà inauditi.
E quindi lo so, non è facile immaginare una cosa di questo tipo. Perché è davvero disumana, l’abbiamo già vista e non vorremmo vederla più. E alla nostra stampa non è mai importato parlarne. Lo so, lo sapevo e non ho mai accusato nessuno, anzi, mi sono sempre adoperata per spiegare le cose, per usare la mia esperienza per farle scoprire ad altri. E’ sempre stato il mio modesto modo di aiutare i Palestinesi, uno dei popoli che più amo al mondo. Non perché sono oppressi, ma perché sono accoglienti, calorosi, intelligenti, resilienti e di fronte a questo trattamento disumano che dura da decenni, la loro umanità non l’hanno persa.
Però adesso non è più possibile dire “non so cosa sta succedendo“, “la cosa non è chiara“, “ma la stampa dice che“. Tutto è documentato, fotografato, filmato. Ci sono decine di giornalisti che riescono a sopravvivere alla mattanza dell’informazione libera (altra specialità israeliana) e da mesi stanno sul campo per raccontarci quello che succede. Le voci di chi è direttamente coinvolto sono accessibili, forti, chiare. Si sentono alla radio, sui canali informativi non asserviti a israele, sui social. Basta cercarli. Basta cercarli.
Eppure, il numero dei morti sta arrivando a 40,000. Q U A R A N T A M I L A. La Striscia di Gaza è distrutta, inabitabile. Ed ecco che ci ricasco. Che mi metto a spiegare, che racconto le azioni. Ma non è giusto. Non dovrebbe davvero esserci bisogno di convincere nessuno. L’enormità di quello che sta succedendo è talmente evidente, che il silenzio e l’omertà che la circondano fanno più rumore delle bombe.
E con questo tutti e tutte dobbiamo fare i conti. Cioè con il fatto che la vita continua mentre tutto questo accade. E qui vengo a me. Ci sono azioni nella giornata di chiunque che compiamo in automatico. Ci laviamo i denti, abbracciamo il marito al mattino, leggiamo un libro, mangiamo un pomodoro, scriviamo alle amiche. Ecco, io sono entrata in una spirale nella quale per ognuna di queste azioni mi fermo e penso ai Palestinesi. Che i denti non possono lavarseli perchè non c’è più acqua, che il marito non ce l’hanno più perchè è sotto le macerie, libri neanche a parlarne, i pomodori ancora meno, nella Striscia si muore di fame, e le amiche, se sono ancora vive, sono irraggiungibili, o troppo impegnate a scappare per trovare rifugio dove rifugio non c’è.
E allora mi prende la disperazione perché mi guardo intorno e mi chiedo com’è possibile che esistano due mondi paralleli che vanno avanti nel silenzio? A che punto siamo arrivati come essere umani, per permettere tutto questo?
Sono piena di rabbia. La mia cara amica Federica, che è a Ramallah in questo momento e trova anche il tempo di mantenere le amiche informate su quanto avviene, parla di “furia“. E’ proprio così, è una furia che monta, che prende la gola, a volte mi sembra che circoli nel corpo e sciolga le cellule. Perché non può andare da nessuna parte. Non ci sono, qui, iniziative per scendere in piazza tutti insieme a urlare e piangere. Mi nutro di luoghi dove la gente non ha mai smesso di manifestare di fianco ai Palestinesi, ma evidentemente non basta, né a me né a loro.
E quindi vado avanti in questa specie di schizofrenia. Nelle interazioni quotidiane con la gente che mi circonda, sono l’unica che parla sempre di Palestina. Mi sono ripromessa di fare almeno questo, anche se non serve a nulla. Trovo sempre il modo di portare la Palestina nei nostri discorsi. E ho capito che questo è l’unico modo in cui mi salvo.
Mi vergogno solo a scriverlo. Salvarmi, io? Io che vivo in uno dei posti più belli del mondo, in una casa che nessuno mi espropria o distrugge, con una famiglia meravigliosa e il piatto sempre pieno, in tutta sicurezza? Mi sale subito la contraddizione, la vergogna del privilegio, e mi viene da tacere.
Ma poi so, dentro, che tutto questo dolore e questa rabbia hanno delle conseguenze su di me, e che non posso ignorarle. Sono nervosa e spesso aggressiva, piango per nulla, non trovo più senso in nulla tranne che nei rapporti umani. Ma solo con persone che condividono il mio valore di giustizia. Le altre non le voglio neanche vedere. E chiunque tenga alla giustizia, non può star bene in questo momento, e non può agire come se niente fosse.
Mi porto addosso il mio bel trauma vicario e giorno dopo giorno cerco modi per sfogarmi. E’ un processo continuo. Oggi mi sono svegliata convinta di dover scrivere. E l’ho fatto. Di queste parole fatene quello che volete.
Claudia Landini
Volterra, Toscana
Agosto 2024
Foto tutte mie tranne quella in cima, di Pixabay