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Cosa possiamo fare per la Palestina

Nella disperazione che mi attanaglia per il genocidio che viene portato avanti nei confronti del popolo Palestinese sotto gli occhi indifferenti della comunità internazionale, ho trovato sollievo nel preparare una modesta lista di cosa possiamo fare per la Palestina nel nostro piccolo.

 

Come tutte le persone che hanno una coscienza, negli ultimi mesi ho vissuto momenti di acuta disperazione alternati ad altri di speranza e ottimismo (sempre meno).

Quello che stan facendo mi tocca nel più profondo, per tanti motivi. Alcuni miei personali, e non pretendo che vengano condivisi da chi, ad esempio, non ha vissuto splendidi anni in Palestina. Altri universali, e includono l’assoluto sbigottimento di fronte alla totale indifferenza con cui la crudeltà esercitata da israele viene accettata, e spesso anche apppoggiata e incitata, il dolore lacerante nel pensare alle migliaia di bambini e bambine massacrati, traumatizzati e comunque privati della loro infanzia, lo schifo del dover convivere su questo pianeta con persone che pianificano, eseguono e appoggiano tutto ciò.

Ci sono giorni in cui riesco a dirmi che soccombere alla disperazione non serve a nulla. E ho sperimentato che fare qualcosa in modo regolare, anche piccoli gesti all’apparenza inutili, è il modo migliore per mantenere viva la speranza e navigare questo tragico momento conservando un po’ di energia e di umanità.

In molti mi chiedono “cosa possiamo fare?” – e capisco benissimo il profondo senso d’impotenza, ma penso che ci siano comunque delle azioni a cui possiamo ricorrere, che secondo me fanno bene a noi, ai Palestinesi e al mondo in generale.

Cosa possiamo fare per la Palestina:

– innanzitutto, informarci. Se non sentiamo di sapere a sufficienza come si è arrivati a tutto questo, cos’è successo prima del 7 ottobre, e cosa ribattere a chi giustifica il genocidio dei Palestinesi in vari modi, allora dobbiamo informarci. Non ci sono scuse. Leggiamo, guardiamo video e film, andiamo a conferenze, incontri e dibattiti, parliamo con persone che in Palestina ci sono state, seguiamo sui social gli account che ci mostrano le violazioni quotidiane di israele. Sono anni che consiglio libri, che dico di guardare i documentari di Al Jazeera, che do titoli di film…ma se ne avete bisogno, sarò felice di ridarvi titoli e indicazioni;

 

 

smettere di leggere e di ascoltare le notizie attraverso i media italiani. In tutti questi mesi, il modo in cui le maggiori testate italiane hanno trattato il genocidio è stato S C A N D A L O S O. Vi prego dal più profondo del cuore: non leggete più Repubblica e il Corriere (per nominare i principali). Se non potete leggere in altre lingue, abbonatevi al Manifesto. Se siete a conoscenza di altri media che secondo voi sono equilibrati ma non ne siete sicuri, potete sempre informarvi. Ci sono tante persone che in questo momento si adoperano instancabilmente sui social per far chiarezza e per combattere la narrativa imperante, basta seguirli e guardare quello che spiegano per chiarirsi le idee;

– e qui mi allaccio: seguire gli account giusti! Se usate i social, in particolare Instagram, seguendo gli account di persone in Palestina o che parlano della questione in maniera obiettiva e onesta, riuscirete pian piano a capire quanto imperante è l’ipocrisia di chi appoggia questo disumano disegno di annientamento. Ve ne potrei nominare tanti, potete ad esempio cominciare dalla grandissima Francesca Albanese, Special rapporteur allo Human Rights Council delle UN per i Territori Palestinesi Occupati, che non ha smesso un solo giorno di denunciare, spiegare, testimoniare. Ma anche, naturalmente, Palestinesi sul terreno, o testate che dicono le cose come stanno, ad esempio Middle East Eye;

B O I C O T T A R E. Non riuscirò mai ad insistere abbastanza sull’importanza del boycott, sia in termini pratici che per la nostra dignità umana. Noi siamo i compratori, quelli che hanno tra le mani un ENORME potere. Perché se smettiamo di comprare, i produttori vanno in crisi. E ci sono già esempi molto felici di quanto il boycott funzioni (pensate a Puma, a Carrefour, a McDonald). Smettete di comprare prodotti di aziende che appoggiano israele, in qualsiasi modo. Il movimento BDS (Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni) da anni porta avanti un’azione concreta, informata ed efficace, vi basta guardare il loro sito.

Esiste un’app meravigliosa che vi permette di scannerizzare il codice a barre dei prodotti prima di acquistarli, per capire se sono sporchi di sangue o se acquistandoli non contribuite a rafforzare lo stato genocidiario. Si chiama NO THANKS e la scaricate in un attimo. Ha anche una lista in ordine alfabetico di tutti i prodotti e le aziende che appoggiano israele.

Boicottare non è facile. Siamo invasi da grandi nomi che ci siamo abituati a integrare nelle nostre vite. Amazon, Google, Coca cola (quella fa pure male alla salute), Airbnb e Booking, sono tutti nomi che ormai fanno parte del nostro quotidiano. E anche se non riuscite a liberarvene completamente subito, usarle il meno possibile è già un buon passo avanti. E permette di fare davvero l’unica cosa che – è stato provato – ha un impatto sostanziale;

parlare della Palestina, accennarne nelle conversazioni, chiedere alle persone come si sentono e approfittarne per portare a galla il discorso. Parlarne sui social, basta condividere un articolo o una notizia impattante, e soprattutto, non tacere di fronte a persone che dicono cose che appoggiano il genocidio. Ricordate: chi tace è complice;

andare in manifestazione a fianco dei Palestinesi. Ci sono città nel mondo dove la gente non si è fermata un attimo. Ginevra, ad esempio, o Melbourne. Noi in Italia siamo veramente penosi. Mi vergogno quando vado in manifestazione e vedo così poca partecipazione. Manifestare è il modo più concreto di esprimere il proprio dissenso, e comunica ai Palestinesi che ci diamo da fare per aiutarli;

– comprare libri e guardare film e documentari di palestinesi. E’ il modo migliore per appoggiarli, ma anche per capire. Ci sono eminenti nomi non palestinesi che si stanno adoperando (ben prima del 7 ottobre) per dar voce alle violazioni di israele, ma niente potrà mai equiparare le voci di chi vive da decenni sotto una brutale occupazione e sta ora subendo un genocidio in piena regola;

essere delicati e rispettosi quando postiamo sui social. Nessuno vi chiede di fermare le vostre attività o di non parlare di quello che riempie la vostra vita o i vostri business. Ma ci sono dei post, delle immagini, o delle riflessioni che sono semplicemente offensivi per chi in questo momento sta sopravvivendo in Palestina (ma anche in altre parti del mondo).
Un giorno ho visto il post di una ragazza che mostrava l’allegra famigliola spingendo un mega carrello verso un mega supermercato, negli Stati Uniti, e che diceva “la tortura a cui ci sottoponiamo una volta al mese, lol, lol“. Ecco, forse pensando ai Palestinesi che crepano di fame, cose di questo tipo ce le possiamo evitare. E magari una volta ogni tanto menzionare quello che sta succedendo non guasta.

Claudia Landini
Aprile 2025
Foto di testata di Mohammed Ibrahim su licenza Unsplash

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