Festival sulla Palestina a Londra con mio figlio
So che a pochi interessa la Palestina, e che i miei post sulla sua tragica situazione non sono certo seguiti come quelli sulla mia salute o le mie avventure per il mondo. Da poco però ho partecipato a uno splendido festival sulla Palestina a Londra, e voglio parlarne perchè è stato un momento intensissimo.
Ho lasciato la Palestina cinque anni fa e non ci sono più tornata. Eppure tutto quello che ho vissuto, scoperto e sofferto in quella tormentata terra, è vivo dentro di me come non mi è mai accaduto con nessun altro paese in cui ho vissuto. Del resto, nessun altro paese in cui ho vissuto presentava la complessità della Palestina.
Dei quattro anni e mezzo trascorsi a Gerusalemme, ho passato l’ultimo sola con mio figlio minore, quando il contratto di lavoro di mio marito era scaduto. Mattia non voleva spostarsi per fare l’ultimo anno delle superiori altrove, e io sono rimasta con lui. E’ stato un anno meraviglioso, di rara intensità, e che ci ha legati profondamente per sempre.
Forse non sarebbe stato così se lo stesso fosse accaduto sullo sfondo di un paese diverso. Condividere, invece, tutto il dolore che si respira in Palestina, ha creato tra noi un legame che si ravviva all’immediato ogni volta che qualcosa ci porta indietro a quel periodo.
Il Festival sulla Palestina a Londra
Ad esempio, nel caso del Palestine Festival a Londra, il festival sulla Palestina a cui siamo andati lo scorso week-end, mentre io mi trovavo di passaggio nella mia città preferita. Era un festival organizzato dal FOA (Friends of Al Aksa), un evento grandissimo, con ospiti di grande rilevanza, workshops, presentazioni, dibattiti a non finire.
Ci siamo sentiti a casa appena entrati. La cultura palestinese scaturiva dalla gente, dai simboli, dal parlato. Non abbiamo avuto bisogno di dire niente perchè entrambi sappiamo quanto quest’atmosfera tocchi corde profonde in noi. Siamo andati alla prima presentazione, e mentre aspettavamo che iniziasse, sfogliando il programma, ho visto tra i volti dei presentatori e degli espositori, quello amato di Layla, una forza della natura di donna che avevo conosciuto a Hebron, la prima volta in cui c’ero andata.
Hebron
Non so quanti di voi abbiano idea di cosa succede a Hebron. Io ci ho portato tutti gli ospiti che si sono susseguiti in quei quattro anni e mezzo perchè se non si guarda coi propri occhi, si fatica a credere che degli esseri umani possano esercitare una tale crudeltà nei confronti di altri. Se avete lo stomaco forte e volete capire un po’ di cose, guardate This is my land: Hebron, disponibile su YouTube.
Il giorno in cui ero arrivata a Hebron, ero andata subito al mercato centrale. Tutti i negozi erano chiusi, sbarrati, tranne uno: quello di Layla. Che stava in piedi lì davanti come se invece di un mercato deserto e disertato intorno a lei ci fosse una folla di turisti, acquirenti e persone interessate a quello che fa la sua cooperativa di donne.
Le ho chiesto cosa stava succedendo (non sapevo ancora che l’esercito israeliano decide arbitrariamente di far chiudere il mercato ogni qualvolta lo giudica necessario per minare il morale dei negozianti e dare il colpo finale ad un’economia già morta). Lei mi ha spiegato che erano appena passati i soldati a dare ordini, ma che per quanto la riguardava lei il negozio lo tenevo aperto. Ne ho approfittato per comprarle una serie di splendidi prodotti di cucito, e quello è stato l’inizio di una bella amicizia e di tanti momenti sempre diversi che ho trascorso con Layla ogni volta che andavo a trovarla.
Pensavo che non l’avrei mai più rivista
Non credo che tornerò in Palestina, e non immaginavo certo che con il suo cipiglio e la sua determinazione, lei avrebbe presto cominciato a girare l’Europa per portare i prodotti della sua cooperativa fuori dalla stretta di israele.
Non so descrivervi quello che ho provato quando le ho toccato una spalla, lei si è girata, mi ha vista e mi ha abbracciata. Mi viene da piangere anche adesso a scriverne.
Il Festival
I temi affrontati erano estremamente interessanti, e tra gli speaker c’erano nomi molto noti e altri meno conosciuti ma altrettanto importanti.
Per due giorni siamo passati da intense discussioni sulla situazione attuale della Palestina, a scambi di esperienze di altissima ispirazione, come quella di Majd Masharawi, una donna di Gaza, ingeniere civile, che ha creato prima una start-up per produrre mattoni fatti di macerie, un po’ di cemento e cenere (vi prego, guardate il video in cui Majd lo spiega) e poi una per installare pannelli solari nelle case di Gaza.
Devo dire che interventi come il suo sono stati un balsamo per calmare l’angoscia che ci veniva dal constatare quanto ormai la situazione sia compromessa. Nonostante Zwelivelile Mandela, nipote del grande uomo sudafricano, abbia ribadito che i bantustan non hanno funzionato per il Sudafrica e non funzioneranno per israele, permane la sensazione di sconfitta così ben presentata da Gideon Levy, giornalista israeliano e una delle menti più brillanti del suo paese, che insiste che l’unica via d’uscita per il popolo palestinese sia la soluzione di uno stato unico.
Insieme a questi, molti altri studiosi, professori, giornalisti, studenti e attivisti si sono susseguiti sul palco e hanno condiviso punti di vista ed esperienze. E’ stato emotivamente drenante, ma anche bellissimo. Per due giorni ci siamo concentrati su di lei, la nostra amata Palestina, e spero che le sia arrivata un po’ dell’energia, dell’amore e dell’indignazione che tutti dovrebbero provare nell’osservare impotenti la sua lenta e impunita distruzione.
Personalmente, mi ha aiutata a rinnovare l’attaccamento a una terra e a un popolo che mi hanno profondamente marcata, e a cui sarò eternamente grata per aver rafforzato il mio senso di giustizia e per rendermi ogni giorno orgogliosa di fare quel poco che posso per non farli mai sentire soli.
Claudia Landini
Luglio 2019
Foto @ClaudiaLandini