Formazione interculturale, la mia vera passione
Ho scritto questo post sul treno che mi riportava a Milano da Bologna, dov’ero andata per dare una formazione interculturale a una famiglia in arrivo dagli Stati Uniti.
Quando vivevo in Indonesia, davo un sacco di formazioni interculturali. Rientrando in Europa il ritmo è diminuito. Oggi sono andata a Bologna per dare una formazione interculturale a una famiglia in arrivo dagli Stati Uniti. Una volta di più mi sono ricordata di quanto assolutamente ami questo lavoro.
Quando parlo alla gente delle mie formazioni interculturali, in genere mi immaginano mentre do una presentazione della cultura locale, o fornisco una serie di consigli e informazioni per come muoversi nel nuovo paese. Fanno fatica a capire che una formazione interculturale non significa investire i nuovi arrivati con un sacco di dati su una cultura specifica o informazioni pratiche su un luogo.
In una formazione interculturale c’è innanzitutto una connessione tra esseri umani. Anche se è solo per un giorno, a volte due, sedersi e lavorare insieme su argomenti di tale importanza crea un’intimità molto speciale. I clienti si aprono sulle loro incertezze. Immaginate di unirvi a un gioco di società senza conoscerne le regole. Il premio per il vincitore è qualcosa di molto importante per voi, ma non sapete se le vostre mosse vi portano nella giusta direzione o vi fanno commettere dei passi falsi. Così ci si sente spesso quando si arriva in un nuovo paese. E’ un sentimento stressante, che ci fa sentire esposti e vulnerabili.
Amo questo spazio di vulnerabilità che si forma tra il cliente e la trainer interculturale. Qui tutti i sensi sono in allerta, tutto quello che viene detto scava in profondità. Per quello che è un lasso di tempo molto prezioso, ci si concentra sulla connessione: il cliente vuole ricevere con tutte le sue forze, la trainer si sente privilegiata nel poter dare così tanto.
Le mie formazioni interculturali sono vivaci e interattive. Tengo tantissimo a questo punto e concentro costantemente i miei sforzi nel migliorare questo aspetto. Adoro giocare, ed è nel contesto del gioco che do il meglio di me stessa. So anche per esperienza che è più probabile che un cliente si ricordi le cose e si apra giocando o interagendo in attività pratiche.
A volte questo non accade. Mi è capitato, anche se raramente, di trovarmi a dare una formazione interculturale a clienti che si aspettavano tantissima teoria e volevano che io “insegnassi” loro invece di lasciarsi coinvolgere in giochi e simulazioni. E questa è l’altra parte che amo della formazione interculturale: non c’è modo di sapere come andrà il rapporto con il cliente.
Proprio per la natura interattiva della formazione interculturale, ogni esperienza è diversa, e la parte in cui si mette il cliente alla prova, dove si osa un po’ di più per mettere in crisi le sue convinzioni, dove si bilancia quanto e cosa mettere sul tavolo, per me è assolutamente coinvolgente.
E poi naturalmente c’è la fortissima emozione del parlare di cose fondamentali nelle interazioni umane. Fornendo degli strumenti per aumentare la competenza interculturale, si discutono le linee di base della coabitazione umana sul nostro pianeta. E questa è una cosa enorme.
Per finire, un altro aspetto che amo tantissimo dell’essere formatrice interculturale è il fatto che l’esperienza di apprendimento è reciproca e ugualmente arricchente per il cliente e per il trainer. Durante una formazione interculturale il leitmotiv è la cultura, con tutto quello che ciò implica. Il ritmo della comunicazione è basato sul confronto tra due (a volte di più) modi di vedere e gestire la vita. In questo flusso di scambio su come facciamo le cose, perchè le facciamo in un determinato modo e cosa manca per colmare la distanza tra due modi diversi di gestire le interazioni, impariamo costantemente nuove cose, modi diversi di relazionarci alla vita, tradizioni e abitudini di culture lontane. E questo è veramente stupendo.
Sono esausta. Nella maggior parte dei casi una formazione interculturale significa che devo parlare e ascoltare concetti e sentimenti complessi in un’altra lingua – di solito l’inglese, come è stato il caso di oggi. Inoltre, questa è la sola occasione nella quale non mi permetto di spostare l’attenzione su qualcos’altro o di farmi distrarre. Per otto ore sono al 100% concentrata su quello che dico e su quello che ascolto. Non c’è un altro momento nella mia vita professionale in cui mi sento così sfinita come quando completo una formazione interculturale. Ma nessun’altra esperienza, finora, mi ha dato un tale senso di appagamento e felicità.
Claudia Landini
Febbraio 2019
Foto ©ClaudiaLandini