Le cose banali del coaching
Ho esitato nel pubblicare questo post. Se siete coach navigati, probabilmente non avrete interesse nel leggere quanto segue. Se avete cominciato da poco, o siete curiose verso la professione, avrò scritto per qualcuno 😊
Con tutti i progressi registrati nella professione del coaching, le nuove metodologie, la carta internazionale dei professionisti del coaching, mentoring e supervisione accettata dall’Unione Europea, il coaching sistemico e mille altre cose che ruotano intorno alla mia seconda professione preferita, a volte mi sento un po’ tapina a voler parlare di cose banali del coaching come la preparazione alla sessione, gli elementi che fanno una brava coach, il recap, e così via. Però poi, stringi stringi, sono queste le cose che fanno la differenza, perché al di là di certificazioni, promesse, nicchie e specializzazioni, quello che fa un coach avviene lì, nella sessione; è lì che la vera coach si esprime in tutta la sua professionalità, esperienza ed empatia.
Quanto conta l’esperienza
Nelle mie analisi tendo (quasi senza riserva) a basarmi su quello che vivo direttamente. Sono profondamente convinta che siano i casi (anche professionali) vissuti che rappresentano i più preziosi testimoni. Quello che mi sono sentita ripetere da TUTTE le mie clienti indistintamente, soprattutto negli ultimi mesi, è che farsi accompagnare da me le rende felici perchè da tutto quello che dico e faccio durante e dopo le sessioni, traspare la mia grande esperienza di cambi di vita, rilocazioni e continui aggiustamenti a diverse realtà professionali e di vita.
Quindi diciamocela tutta: il coaching non è solo una tecnica che s’impara, e che si accompagna a qualche talento naturale di cui siamo fortunatamente dotate. L’esperienza accumulata nel corso della vita conta eccome. E’ lei che ci forgia come persone, ci fa diventare più sagge, e oltre a fornirci una gamma molto più vasta di modi di reagire e di porsi di fronte ai clienti, ci mette in condizione di guidarli in maniera naturale nella direzione più consona.
Ma non si è coach solo per esperienza
E’ importante però ricordare che la sola esperienza non basta a renderci brave coach. E’ naturale tendere a voler appoggiare chi condivide certe situazioni e similitudini nel percorso di vita. Un coach, però, dev’essere in grado di esplorare qualsiasi terreno, e mai usare la propria esperienza per guidare gli altri. Sono davvero stanca di tutti questi autoproclamati coach che insegnano questo e quello, che promettono la felicità, che dicono “io ce l’ho fatta, perché non puoi farcela anche tu?“. Un cliente di coaching chiede l’ausilio di un coach nell’esplorazione di un terreno, progetto o situazione da penetrare insieme, e sulla quale costruire (lui o lei) senza i consigli e l’expertise del coach. Il coach, semmai, usa la sua personale esperienza per essere una persona migliore e sapersi porre in maniera migliore, mai per “insegnare” o “cambiare”. Non abbiamo niente da insegnare. Forse abbiamo da imparare, sempre, un po’ di umiltà.
Capire il cliente
La cosa davvero fondamentale per poter instaurare quella relazione coach-coachee così vitale e importante perché il programma di coaching abbia successo è in primis capire il cliente. Questa, naturalmente, è una cosa che viene con l’esperienza, ma che richiede anche sensibilità, concentrazione e attenzione. Richiede dialogo, chiarezza, o meglio, franchezza, da parte del coach, che in questo modo chiama e incoraggia sincerità nel cliente. E’ inutile voler imporre un proprio metodo, per quanto convinte siamo che sia utile e geniale, se quel metodo non collima con la persona che è il nostro cliente.
Quando faccio le sessioni di conoscenza, quel famoso incontro durante il quale si verifica sostanzialmente se c’è chimica, dopo aver ascoltato quello che il cliente vuole penetrare e discutere durante il programma di coaching, spiego brevemente come procederei IO. Ma aggiungo subito, e lo sottolineo con tutta l’enfasi di cui sono capace, che è molto probabile che la cliente abbia idee e desideri diversi, e che i miei non sono altro che suggerimenti di partenza, che possono venire tranquillamente ignorati, o dai quali si può sviare anche da subito. Il programma è in mano al cliente, sempre.
Il recap, mai senza!
Io ho imparato a mandare il recap dopo le sessioni con una bravissima coach che ho avuto durante la mia formazione. Lei aveva quest’abitudine: appena finita la sessione, mandava una mail con i punti che avevamo toccato insieme quel giorno. Onestamente a me quest’operazione non è mai servita molto, ma io non sono troppo coacchabile, questo l’ho capito. Però mi è sembrata una manovra corretta e importante, e l’ho sempre, sempre fatto con i miei clienti. E dato che scrivere è una mia grande passione, con il passare del tempo, man mano che diventavo una coach più sensibile e attenta, i miei recap diventavano a volte dei veri romanzi.
Mi piace da impazzire rimandare alle mie clienti quello che mi hanno raccontato e quello che abbiamo concordato durante le sessioni, ma in chiave profonda, curata. Non voglio scrivere un riassunto solo perché è raccomandato dalle accademie di coaching. Voglio che i miei clienti realmente ne godano e ne traggano ulteriori riflessioni. E devo dirvi che questa cosa del recap sta diventando sempre più importante. Ho una cliente che addirittura mi dice che aspetta il recap con più allegria della sessione, che se lo legge, poi lo stampa, evidenzia le parti salienti, e addirittura spesso mi dice “questo scrivimelo bello chiaro nel recap!“.
A volte ci metto mezz’ora secca a scriverlo. E questo non è compreso nella mia tariffa oraria. Ma lo faccio volentieri perché mi sono resa conto che fa parte del programma ed è uno strumento di altissima utilità per le clienti.
Queste sono semplici indicazioni, spunti tratti dalla mia esperienza diretta, ma magari voi ne avete altri. Se avete voglia di discutere dei vostri metodi o commentare i miei, non esitate a scrivermi. E’ anche nel confronto diretto che cresciamo come persone e professioniste.