Le fatiche del lavoro portatile
Mai come in questo periodo ho sentito la fatica del conciliare il mio lavoro portatile con quello di mio marito.
Ho lasciato l’Indonesia un anno fa, e con lei la mia piena felicità professionale. Quando si vive coniugando il proprio lavoro portatile con un partner la cui professione lo porta per periodi determinati nei paesi più disparati, ogni destinazione apre nuove avventure professionali.
Per me il soggiorno a Jakarta ha coinciso con un periodo di felicità lavorativa molto intenso. Ero una delle pochissime formatrici interculturali in loco. Mi chiamavano quindi spesso per formare manager espatriati e le loro famiglie. Cioè quello che più mi piace fare al mondo.
Sapevo che lasciando l’Indonesia avrei perso quest’aspetto del mio lavoro. Quello che mi ero dimenticata è quanto sia faticoso coniugare il proprio lavoro portatile con la professione del coniuge, quando questa è soggetta a strappi, incertezze, ritardi e acrobazie logistiche.
Il presente
Da settembre dello scorso anno mio marito lavora a Ginevra con contratti per brevi periodi, ma sempre con l’incertezza di quello che succederà poi.
Sorvolando sugli stress logistici, anche solo a livello abitativo, che questa situazione provoca, sento sulle spalle tutta la fatica del lavoro portatile quando si è costretti a sottostare ai ritmi di altri.
Non sapere per quanto si resterà in un paese, rende impossibile radicarsi e cominciare quel processo lungo ma necessario, per sviluppare il proprio lavoro in loco.
Lavorare esclusivamente online?
Perché non smetterò mai di dirlo: lavorare online è l’ideale per chi segue il proprio partner all’estero, ma un lavoro che si svolge esclusivamente online è difficile da sviluppare, e raramente produce gli stessi introiti generati da un lavoro in presenza.
Naturalmente sto generalizzando, ma nei miei trent’anni all’estero ho constatato che chi riesce a radicarsi professionalmente e a lavorare anche in presenza nei paesi in cui si trova a vivere, è sempre più soddisfatto di chi vagola a destra e sinistra senza sapere dove appoggiare le valigie.
Che è quello che sta capitando a me. Da settembre scorso mi divido tra Ginevra, Milano, la Toscana e alcuni viaggi in Europa. Non mi sto lamentando di questo, intendiamoci: ci sono destini molto più amari 🙂
Impossibile creare una rete di contatti
Il fatto però di non avere prospettive temporali davanti a me a Ginevra (né in Italia, del resto, perché se avremo un contratto all’estero non potrò costruirmi professionalmente neanche qui), rende impossibile creare quella rete, quel contorno di contatti che è vitale per lavorare in maniera soddisfacente.
Non vale la pena contattare aziende, università, circoli di espatriati, conoscenti, associazioni e via dicendo, se davanti a me si profila la prospettiva che tra un paio di mesi potrei dover rifare le valigie e partire per altri lidi.
Ricostruirsi professionalmente in un paese nuovo è faticoso, ma soprattutto prende molto tempo. Chi fa un lavoro portatile, è abituato a farlo, e ogni paese è un’occasione in più per affinare quest’arte che col tempo si arriva a controllare e a sfruttare in maniera piena e consapevole. Il presupposto di base, però, è di avere davanti a sé almeno due anni per stemperare questa fatica e crearsi delle basi che, pur su un periodo a termine, diano dei frutti interessanti e sensati per la propria figura professionale.
Di tutto questo e molto ancora discuteremo nel corso per costruire una carriera portatile e potenziare la propria identità professionale all’estero, che parte lunedì prossimo, 16 settembre, completamente rinnovato. Unitevi a me in questo viaggio di condivisione di temi che solo chi ha provato sulla propria pelle può comprendere a fondo. Vi aspetto!