L’uso dell’intuito nel coaching
In questo post rifletto sull’importanza dell’uso dell’intuito nel coaching.
Recentemente mi capita di pensare molto all’intuito. Più accumulo ore di coaching, più mi rendo conto che nella palette di strumenti che uso durante le mie sessioni, l’intuito è quello a cui ricorro sempre più spesso coi miei clienti. Il che significa che mi fido sempre più del mio intuito nel coaching.
Quando ho iniziato a praticare come coach, ero molto concentrata sull’ascolto – le parole, il tono del cliente, i suoi picchi di entusiasmo e tutte le cose a cui noi coach siamo così preparati a prestare attenzione.
Sappiamo tutti, però, che la chiave per assistere efficacemente i nostri clienti non risiede solo in ciò che comunicano a parole, ma va ricercata anche nell’area non verbale. Il coaching online, tuttavia, rende difficile essere permeabili al mondo del non detto: l’uso della webcam ci permette di accedere all’espressione facciale e in parte alla postura del cliente, ma se la qualità del video non è delle migliori, si possono perdere molti segnali importanti. Per non parlare di quando la webcam non si può usare.
È qui che l’intuito nel coaching gioca un ruolo ancora più importante. Mi sono resa conto che liberare il mio intuito porta sempre a buoni risultati – per buoni risultati intendo la soddisfazione dei clienti e la loro disponibilità a passare all’azione.
Mi succedeva prima di diventare coach, e mi succede adesso: anticipo le risposte delle persone, ho questa sensazione viscerale su come si sentono e spesso anche sulla situazione che stanno per svelare. Quante volte mi è capitato che qualcuno mi dicesse “Sta succedendo qualcosa di grosso, te lo racconto”, e sapevo già che si trattava dell’infedeltà del partner o di un problema sul lavoro… Come diavolo lo percepisco? Prima rispondevo che non lo sapevo, ma ora lo so.
L’intuito deriva dal mettere insieme spontaneamente una combinazione di segnali non verbali e il contesto in cui si verificano. E ho capito che la capacità di leggerli entrambi (segnali e contesto) deriva dalla mia esperienza.
Sono stato esposta a così tante situazioni e fatti, e sono entrata in contatto con così tante persone di culture e orizzonti diversi, che ho acquisito una sorta di “database umano” in cui ora trovo spontaneamente una spiegazione a ciò che sento che un cliente sta trasmettendo. Non ha nulla a che fare con abilità extra sensoriali, come molti vogliono farci credere. È solo una vita ricca e appagante a contatto con gli altri che ha plasmato la mia esperienza e mi dà oggi la possibilità di “sentire” al di là delle parole e dei gesti.
Quindi, permettetemi di dedurre che mentre il coaching è una tecnica che tutti dovrebbero essere in grado di apprendere e mettere in pratica, e che il processo è aiutato da alcuni talenti personali naturali, l’esperienza a cui ogni coach è esposto nella sua vita gioca un ruolo molto importante nel diventare un buon professionista – aumenta il senso di empatia, allarga i confini della comprensione e rende più forti nel fornire feedback efficaci.