Le piantagioni di corallo
Avevo scritto questo post un po’ di tempo fa, tornando da una bella escursione quando stavo scoprendo Jakarta in agosto.
Non l’ho mai pubblicato, ma l’altra notte stavo parlando con qualcuno delle piantagioni di corallo in Indonesia, e questa persona era molto interessata e intrigata; come molti, me inclusa, non sapeva che è possibile piantare il corallo. Quindi eccovi il post!
Sono appena tornata dal mio primo periodo a Jakarta, che sarà la mia casa per i prossimi anni. Il momento più eccitante di queste tre settimane è sicuramente stato la scoperta di una piccola isola stupenda, Pulau Macan (Tiger Island), che si trova di fronte a Jakarta e si può raggiungere facilmente per un breve week-end.
Dopo l’impatto con il traffico, il rumore costante di motorette e clacson, l’inquinamento e la sensazione che la città sia dominata costantemente da un flusso incessante di motori rombanti, arrivare in quel paradiso e respirare aria pura, sentire il sole e il vento sulla pelle, dormire nel islenzio e vivere in maniera naturale, è stata gioia allo stato puro.
Quello che mi ha intrigata tantissimo, e che voglio condividere oggi, è che attraverso questa visita ho scoperto le piantagioni di corallo in Indonesia. Non pensavo affatto che fosse possibile coltivare il corallo! Quello che sapevo, naturalmente, è che le barriere coralline sono sotto costante minaccia. Secondo Nooas (date un’occhiata al loro sito per saperne di più) “le barriere coralline sono sottoposte a numerosi rischi e minacce. Con l’aumento della popolazione umana e la pressione sulle coste, le risorse delle barriere vengono sfruttate più pesantemente, e molti ambienti corallini vengono compromessi. Secondo stime attuali, il 10% delle barriere coralline sono degradate senza possibilità di recupero. Il 30% è in condizioni critiche, e potrebbero morire tra 10 e 20 anni. Gli esperti prevedono che se le pressioni attuali non verranno fermate, il 60% delle barriere coralline del mondo potrebbe morire completamente entro il 2050” (la traduzione è mia).
Mi è piaciuto molto tutto il processo. Una mattina gli ospiti dell’isola sono stati chiamati nella “piazza principale”, dove ci è stata mostrata la procedura, e chiesto di partecipare attivamente nel completare un lotto di corallo coltivato. Una struttura in rete (simile al letto di un bambino) sulla quale sono posti una serie di anelli di cemento, sale e sabbia, di fondo è tutto quello di cui si ha bisogno, a parte, naturalmente il corallo. Ecco la struttura, con gli anelli già preparati e asciutti:
In un secchio viene preparata una mistura fresca di sabbia, cemento e sale: tutto quello che c’è da fare è di prenderne una piccola quantità con un bastoncino, inserirla nell’anello, e prima che secchi, prendere un piccolo pezzo di corallo (tutto il corallo viene raccolto precedentemente dalla barriera e messo in acqua in un grande secchio, dopo che è stato tagliato in piccoli pezzi) e inserircelo.
Ogni mano ha il suo compito: una riempe l’anello, l’altra tocca il corallo. Il corallo non dovrebbe stare fuori dall’acqua per più di dieci minuti, il che, in aggiunta al fatto che la mistura si secca rapidamente, dà all’intera attività una sorta di gioiosa frenesia.
Quando tutti gli anelli sulla struttura hanno al loro interno un pezzo di corallo, la rete viene lentamente immersa nell’acqua, fino a quando la mistura, che a contatto con il mare tende a disperdersi tutt’intorno, si posa sul fondo. A questo punto il tutto viene trasferito nella sezione in cui sono state piazzate le altre reti, con il corallo già pronto, e dove il corallo ricrescerà lentamente ma con fermezza, e andrà a rinforzare le barriere minacciate.
E’ un processo lento e delicato: un pezzettino di corallo ha bisogno di un anno per produrre una pianta di venti centimetri. Un’azione minuscola di fronte a una distruzione massiccia. Che però dà tanta speranza, nonostante tutto.