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Quiero un bel mondo, o la deriva della tolleranza

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La tolleranza è qualcosa su cui bisogna lavorare. Perchè non cominciare dalle piccole cose del nostro quotidiano?

Oggi sono capitata per caso su questo articolo: http://www.ilgiornale.it/, e mi ha fatto pensare. Agli inizi di dicembre ero in Inghilterra, su un treno diretto a Londra, con mio figlio. Dietro di noi sedeva una giovane madre forse spagnola, con il suo bimbo che avrà avuto tre anni, a occhio e croce. Il bimbo succhiava un biberon vuoto e diceva in continuazione “quiero water…“, con aria piangente. La mamma, ovviamente, di acqua non ne aveva, altrimenti gliel’avrebbe data.

Uno ad uno i passeggeri del vagone, dopo essersi guardati a lungo tra loro con aria scandalizzata e cercando solidarietà per la lesione della loro quiete e del diritto di viaggiare in silenzio, si sono alzati e se ne sono andati, finché nello scompartimento siamo rimasti solo io, la giovane mamma, il suo bimbo, e il mio:-) E in quel momento ho visto mio figlio sorridere con calore alla donna, con uno sguardo bello, luminoso, e soprattutto carico di comprensione e simpatia.

Mio figlio che ha viaggiato con me in lungo e in largo nel mondo e che sa che non sempre le mamme sono perfette e hanno l’acqua, il giochino, la carta per disegnare o anche semplicemente l’energia per trovare una soluzione. Mio figlio che magari in tanti momenti si sentiva perso, triste, gli mancava il papà, aveva paura di quello che doveva affrontare, e avrebbe avuto voglia (e magari l’ha anche fatto) di sdraiarsi per terra e dire “quiero che si fermi il mondo…“.

Questa gente che abbandona i vagoni perché un piccolino piange deve aver avuto un’infanzia difficile, o dei genitori che non li hanno amati. Poverini. Sono capaci di sopportare e convivere egregiamente con l’idea che fuori casa ci siano guerre che ammazzano centinaia di bambini, violente occupazioni che decimano intere famiglie, bambini che arrivano a sera con una sola scodellina di riso nello stomaco e donne che vengono schiavizzate e vendute come oggetti sessuali, ma non sono capaci di sopportare un bimbo di tre anni che dice “quiero water” per una quindicina di minuti.

Ma certo, lo so anch’io che gli spazi comuni vanno rispettati e che ogni evento che concorre a turbare la quiete pubblica va contenuto e controllato. Eppure vedo in questa intolleranza un segnale di grandissimo allarme, una tendenza a non tentarci neanche più, di diventare persone aperte e tolleranti. Vedo il focus che si atrofizza pericolosamente sui bisogni individuali, che porta le persone a considerare la quiete di un viaggio di tre quarti d’ora come un bisogno primario, ma soprattutto, la spaventosa capacità di dimenticare che un giorno anche noi siamo stati bambini, e abbiamo sicuramente pianto da qualche parte, gridato da qualche parte, magari anche tirato un calcio da qualche parte.

Che li facciano pure i voli vietati ai bambini, che vietino l’ingresso ai piccoli uomini e donne nei loro puzzosi ristoranti. Chi li frequenterà, in ogni caso, saranno persone che insieme alla memoria, stanno perdendo anche il cuore e il gusto per la vita.

 

Claudia Landini
Gennaio 2014

Comments (0)

  1. Questa intolleranza è veramente un segnale pericoloso. Sembra che andando avanti si inizi a voler vivere sempre più come in una realtà virtuale, modellata a nostro gusto e piacimento. Se un rumore ci infastidisce abbassiamo il volume o cambiamo vagone. Io che ho una bambina di tre anni capisco cosa significa vedere le brutte occhiate della gente quando capita che in autobus lei si lamenta o piange! Fortuna che poi c’è anche qualche anima luminosa che ci sorride e quel sorriso vale più di mille sguardi scandalizzati!

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