Storytelling nelle formazioni interculturali
Settimana scorsa ho partecipato a un interessante webinar sullo storytelling nelle formazioni interculturali. Mi ha scatenato una serie di riflessioni che sono felice di condividere.
Da sempre uso lo storytelling nelle formazioni interculturali. Non è stata, però, una cosa studiata a tavolino o pianificata. Semplicemente mi è sempre parso più semplice usare esempi dalla mia vita in espatrio per rendere più chiari i concetti che spiegavo ai miei clienti.
Mentre ascoltavo Syed Zafar che condivideva la sua esperienza, ho cominciato a mettere insieme i pezzi del puzzle. In effetti, come spesso mi capita, applico il processo contrario ai più: uso spontaneamente degli strumenti, per poi trarne le conclusioni. Ve le riassumo di seguito.
Perchè lo storytelling nelle formazioni interculturali è importante
Quando diamo una formazione, vogliamo ispirare, rivelare, suggerire modi costruttivi di rapportarsi a culture sconosciute. Per far questo ricorriamo a teorie, concetti e scenari che si chiariscono e restano sicuramente più impressi se messi in relazione con cose che accadono nella vita quotidiana.
La gente ricorda molto di più le storie che le teorie. Se poi le storie vengono dal bagaglio personale del trainer, sono ancora più efficaci perchè portano con sè la potenza del vissuto.
Le storie sono esempi concreti
Mentre i trainee sono sicuramente interessati a sapere se una cultura è individualista piuttosto che collettivista, quello che per loro è importante capire è l’effetto che questa cultura potrebbe avere su di loro, quali incidenti potrebbero prodursi di fronte al gap culturale, e quali potrebbero essere le conseguenze. Una storia vera li cala nel reale, nel possibile. Un esempio concreto può dire molto più di mille spiegazioni teoriche.
Le storie veicolano sentimenti
La vita è fatta di sentimenti, gli espatri sono pieni di emozioni: condividerli attiva il senso d’identificazione che ognuno prova quando ascolta una storia di cui potrebbe potenzialmente essere protagonista. In questo senso, nell’incoraggiare i nostri trainee alla scoperta di una nuova cultura, le nostre storie possono diventare potenti strumenti per invogliare, creare aspettativa, generare entusiasmo e aumentare il desiderio di applicare quanto appreso durante la formazione.
Ma veniamo all’aspetto pratico della questione. Non tutti sono dei narratori nati, e per loro usare lo storytelling nelle formazioni interculturali potrebbe a prima vista rappresentare un problema piuttosto che uno strumento che facilita il processo. E allora voglio partire da una cosa di cui sono profondamente convinta:
L E N O S T R E S T O R I E C O N T A N O
Forse non ci rendiamo neanche conto della potenza di qualcosa che abbiamo vissuto sulla nostra pelle. Per me è un po’ come quando le persone mi dicono che la mia vita è straordinaria. Pur cosciente dell’aver vissuto in modo non propriamente comune, l’espatrio, il cambio paese e le culture con cui sono entrata in contatto costituiscono la mia normalità. Ma come dicevo nel mio post sul feedback positivo, bisogna ascoltare attentamente quello che le persone ci dicono di noi. Nel mio caso, non c’è stato un solo questionario di valutazione dei miei training che non includesse l’elemento degli esempi pratici provenienti dalle mie storie, e quanto questo sia stato importante nella formazione.
Quali storie scegliere?
Per sapere quali sono le storie che vale la pena introdurre nella nostra pratica di storytelling dobbiamo fare uno sforzo di memoria. In particolare, pensare a quali eventi della nostra vita a contatto con culture diverse ci sono rimasti più impressi. Di solito sono questi che contengono un elemento interessante: se ci hanno toccato al punto da restare impressi nei nostri ricordi, molto probabilmente è perchè sono andati a toccare dei valori profondi. Ed è inutile che vi dica quanto parlare di culture diverse significhi analizzarne i valori.
Come usarle
Una cosa che il webinar con Syed mi ha fatto capire è che non solo non bisogna usare sempre le stesse storie, ma è anche importante avere un sistema per raccogliere, registrarle e poterle ritrovare all’uopo. In effetti mi sono resa conto di usare le mie sempreverdi con molta facilità: la storia del negozio a Gerusalemme, quella del fantasma a Jakarta, i saluti dati e non ricevuti in Sudan e Palestina, l’infermiera scozzese che si è offesa a morte durante una cena a Khartoum. Ma quante altre storie potrei inserire nel mio database di ricordi se solo mi sforzassi di andare indietro nel tempo e nei paesi?
Avere un nutrito elenco di storie diverse tra loro ci agevola sicuramente nel scegliere quali usare a seconda del trainee che andiamo a incontrare e della situazione sulla quale, con più probabilità, dovremo lavorare.
Meglio storie personali
Viaggiando e vivendo nel mondo, abbiamo sicuramente accumulato tante, tantissime storie diverse. Alcune le avremo viste succedere sotto i nostri occhi, altre ascoltate. Le storie che hanno più impatto, però, sono quelle che ci coinvolgono personalmente. Non solo perchè il trainee le accoglierà con interesse più profondo, ma anche perchè ci sarà più facile raccontarle.
Come raccontarle?
Dicevo sopra che non tutti sono narratori nati, ma il nostro stile di storytelling può sicuramente essere migliorato:
📌ascoltando altri raccontare
📌 provando il racconto delle storie davanti allo specchio
📌 sforzandosi di usare una gamma il più variata possibile di toni di voce, espressioni facciali e gesti
📌 mantenendo il linguaggio semplice e diretto
📌 creando racconti il più possibile brevi
📌 usando pause ad effetto per creare aspettativa
Se avete voglia di approfondire l’argomento, scrivetemi pure. Magari avete anche voi qualche trucco o idea per rendere l’uso dello storytelling nelle formazioni interculturali sempre più diffuso.