Una casa in Jagowstrasse, a Berlino
Dopo 41 anni, sono ritornata a Berlino. Una tappa per me obbligata era una casa in Jagowstrasse, dove, da giovane, ho passato uno dei momenti più belli e divertenti di quel magico periodo.

Correva l’anno 1984 quando io e la mia fedele amica Gloria, più un pugno di altri amici e amiche italiane, varcammo la soglia di una casa in Jagowstrasse, a Berlino, per lavorarci un mese insieme a un folto gruppo di giovani provenienti da tutto il mondo. La casa era occupata, e necessitava di una bella ristrutturazione. A noi giovani erano affidati compiti semplici, come raschiare muri, imbiancare, portar via detriti. Fu un mese meraviglioso, pieno di vita, feste, risate, allegrie e scoperte, che ci è rimasto nel cuore per sempre.
Io e Gloria eravamo già state a Berlino in precedenza. Entrambe studiavamo tedesco e i nostri professori avevano forti legami con persone che vivevano a Berlino Ovest ma anche a Berlino Est. Ogni tanto ci portavano per brevi soggiorni, duranti i quali distribuivano lettere che persone dell’Ovest volevano far arrivare ai loro amici e parenti all’Est. Noi partivamo per le nostre giornate in quella che allora era la DDR, con le lettere nascoste tra jeans e mutande, totalmente fiduciose che nessuno ci avrebbe pizzicate.
Una volta arrivate all’Est, i nostri professori ci portavano a consegnare le lettere, e quella era l’occasione per conoscere un po’ più a fondo la realtà di Berlino Est e dei suoi abitanti. Per noi un’esperienza incredibile, che ci legava in maniera ancora più forte a una città che già ci affascinava di suo.
Torniamo però all’estate del 1984. La casa in Jagowstrasse ci aveva accolte come poteva. Molti spazi erano ancora da risistemare. Dormivano su materassi di fortuna uno accanto all’altro in un’ampia camerata, e mangiavamo in una cucina raffazzonata. In quella stessa cucina la sera spostavamo i tavoli e ci mettevamo a ballare fino all’alba. Questo quando non uscivamo a goderci la Berlino notturna, tra discoteche, locali fumosi e piazze piene di gente. All’Ovest, naturalmente.
L’ultima volta che sono stata a Berlino era il Natale del 1984, e c’era ancora l’odioso muro di separazione tra Est e Ovest. Poi la vita ha fatto il suo corso, e non ci sono più tornata. Ma con Gloria, con la quale non ho mai perso i contatti e che rivedevo ogni estate tra un espatrio e l’altro, ad un certo punto è nato il desiderio di tornare, io e lei sole, in quella città che per noi era stata tanto speciale.
Gli anni sono corsi più veloci di noi, però, e ci siamo ritrovate donne mature con i figli grandi e sempre a ripeterci “dobbiamo tornare a Berlino“, senza mai farlo. Fino a quando l’abbiamo fatto. E naturalmente la casa in Jagowstrasse era una delle nostre mete.
Non vi so descrivere l’emozione nell’arrivare in quella via che ormai non ricordavamo neanche più. Memorie vaghe, di angoli, momenti… Ricordavamo però perfettamente la casa, il suo interno, la struttura del cortile e delle facciate che lo circondavano. E ci volevamo entrare.

Quando ci siamo ritrovate davanti al portone chiuso, Gloria non ha esitato: ha cominciato a citofonare finché qualcuno non ci ha aperto. Entrando, colme di emozione, abbiamo incrociato un uomo che andava verso l’uscita. In un flash, ho rivisto il volto del nostro capomastro, quell’allora ragazzo che si lamentava perché ci alzavamo troppo tardi al mattino e non lavoravamo abbastanza. Era lui, non c’erano dubbi. L’ho rincorso, e nel mio tedesco reso ancora più tentennante dall’emozione, mentre Gloria si era fatta prendere dalla ridarola, gli ho chiesto se lui viveva lì 41 anni fa. E se si chiamava Thomas (perché nel frattempo mi era venuto mente anche il nome).
ERA LUI. E non solo non aveva mai lasciato la casa da allora, ma ci viveva con altre persone che all’epoca del nostro campo estivo avevano lavorato e fatto festa con noi. E l’abbiamo incrociato proprio in quel momento! Ci ha raccontato che dal famoso 1984 lui e gli altri hanno mantenuto la casa occupata, l’hanno salvata dalla speculazione post caduta del muro, e sono riusciti ad ottenere un contratto di affitto bloccato in cambio dell’impegno a finire i lavori di ristrutturazione della casa e di mantenerla sempre in salute.

Mi è sembrato pazzesco che le cose che avevamo vissuto 41 anni fa tornassero a galla e si materializzassero in un presente a cui stavo partecipando. La casa ospita ancora il centro culturale palestinese che già all’epoca organizzava fantastici brunch, e che continua a farlo. E’ ancora gestita da quelle persone che avevamo incrociato in quell’epoca felice. E porta ancora orgogliosa su di sè il lavoro di persone che la amano e collaborano per mantenerla un posto sicuro e gradevole.
Non mi dilungo sull’intensità del momento perché penso possiate capirlo. Connettersi con il proprio passato è come sentirsi di nuovo ragazze, come tornare a respirare quello che ci muoveva allora, ma anche ritrovare dentro le noi di adesso quelle ragazze che ancora non sapevano cosa la vita avrebbe riservato loro. E che sono ancora qui, dopo tutti questi anni, legate da amicizia, da ricordi belli e da valori che ancora respirano nel tornare a vedere la casa di Jagowstrasse e ritrovarla sana e felice.
Ma c’è un’altra cosa che mi si agita dentro da quel momento, ed è l’idea, triste, immensamente rabbiosa, che mentre io posso tornare a rivedere tutti i luoghi del mio passato, che hanno contribuito a rendermi quella che sono, e che quindi celebro, i Palestinesti sono bannati per sempre dalla loro terra e dalle loro case, che si son visti brutalmente espropriare, quando non distruggere. Nessun diritto a tornare, per loro, nessuna gioia nel ritrovare l’immutabilità dei luoghi, e il sapore del passato.
Ogni volta che mi connetto con un pezzettino del mio, penso a loro. A quanto per me sia facile e vivifico anche solo guardare i luoghi, calpestarne il suolo e respirarne l’aria. E la gioia che provo si smorza. Non potrò mai gioire fino in fondo dei miei ritorni, finché i Palestinesi non potranno gioire dei loro.