Vita normale
Girare per le strade di Gerusalemme a volte ti fa pensare che questa è tutto fuorchè una vita normale.
La settimana scorsa io e mio figlio stavamo andando a un concerto a Sheikh Jarrah, un quartiere di Gerusalemme Est. Appena abbiamo lasciato l’arteria principale, quella che faceva da confine tra Israele e la Giordania prima del 1967, ci siamo ritrovati in una folla di ebrei ultra ortodossi, alcuni che tornavano a Mea Sharim, il loro quartiere, altri che entravano a Sheikh Jarrah. Erano lì, di tutte le età, a piedi, in bici, in macchina, famiglie, passeggini, un sacco di passeggini, sui marciapiedi, attraversando la strada. Una folla enorme in un posto dove si percepisce subito che sono fuori posto e contesto.
Io e mio figlio ci siamo chiesti cosa stava succedendo. C’era ovviamente una celebrazione importante, se si muovevano così in massa e la polizia controllava il flusso del traffico.
All’improvviso mi è presa una fortissima sensazione, e ho detto a Mattia, in questo posto ti dimentichi cos’è la vita normale. Ti dimentichi che in circostanze normali puoi sederti in un bar a bere un bicchiere di vino senza chiederti se sei seduta nel posto giusto o no; che quando incroci qualcuno per strada non gli guardi la testa per vedere che tipo di cappello porta, e nemmeno com’è vestito o il suo atteggiamento: è solo un’altra persona normale che ti vive a fianco. Dimentichi che ci sono posti dove puoi parlare liberamente e nessuno reagirà con rabbia se dici la cosa sbagliata; posti dove puoi dichiarare cosa fai nella vita, senza paura che qualcuno ti rimproveri; dove le persone che ti circondano sono solo esseri umani, e non incarnano l’occupante nè l’occupato; posti dove puoi dimenticare la follia delle religioni, e l’ingiustizia.
Ci sono posti dove una lingua è solo un mezzo di comunicazione, e non ti collega immediatamente a un gruppo, a una storia, a una situazione politica; dove puoi aspettarti che le strade chiuderanno una volta all’anno per la maratona nazionale e basta; dove non ci sono uniformi, costumi, accessori strani: la gente si veste come le pare e piace, e quello che segue è al massimo la banale moda del momento; ci sono posti dove puoi andare in giro per giorni senza mai vedere un ragazzo che viene ispezionato dalla polizia con le mani contro il muro; dove in realtà l’unico muro che vedi è quello che circonda le case o le industrie.
Ci sono società dove le discussioni non ruotano intorno a termini come occupazione, checkpoint, trattative di pace, perdita, rifugiati e polizia di confine; dove la gente si invita alle rispettive feste senza preoccuparsi da che lato stanno le persone; dove si può in effetti invitare chi si vuole, e se qualcuno non si fa vedere non è perchè non ha avuto il permesso per venire a casa tua; società dove non passi serate intere a discutere del presente e del futuro del paese; dove la gente può organizzare il fine settimana in montagna o al mare, e l’unica cosa di cui deve preoccuparsi è il tempo, o le condizioni del traffico; dove una sirena è un’ambulanza, niente più; dove non devi sentirti in colpa se compri in un negozio o in un altro.
Si tende a dimenticare tutto ciò. Quando si vive a Gerusalemme, alcune pratiche vengono talmente interiorizzate, che alla fine non si pensa più nemmeno al fatto che non dovrebbe essere così, o che fuori di qui è diverso. Certo, c’è la parte stimolante dell’esperienza, vivere qualcosa di unico e che ti dà una costante carica di adrenalina. A volte è come vivere in un film. Solo che ne conosci già l’amara fine.